"Quei monumenti dell'antico fasto,
e uno sopra tutti che furono testimoni di grandi opere,
di potente ricchezza e delle tue virtù, o chiaro popolo d'Agrigento,
crollarono fin l'ultimo, e distaccati i tre atlanti,
le sublimi mura andarono incontro a misera rovina,
or dove i segni del tuo primato,
regno di Sicilia che potrai mostrare altrui?
Giaccion sepolti ed oppressi da sozze macerie,
le sue spoglie il 19 dicembre 1401 luce inimica covri'
trionfando nella tua strage e nel tuo squallore."
Anonimo

Il Tempio di Giove - Temple of Olympian Zeus, Ricostruzione

La costruzione del tempio si fa risalire al 460 a.C. per opera del Tiranno Falaride, dopo la battaglia del 480 a.C. di Himera. Lo scontro vide contrapporsi l'esercito cartaginese contro quello greco.
Con la vittoria dei Greci, Agrigento si assicurò un cospicuo bottino di guerra ed un elevato numero di schiavi utili ad intraprendere importanti opere di ammodernamento per la città: gli acquedotti feaci, la piscina della kolimbetra e la costruzione del tempio dedicato a Giove.
Questo tempio si distacca dai concetti formali greci, non è un tempio greco "canonico", ma si coglie l'influenza di un edificio cartaginese. L'influenza si può cogliere nella simbologia del gruppo scultoreo del frontone occidentale, dove i greci espugnano Troia, simbolo di Cartagine.
Il tempio di Giove è il più grande tempio dorico della Grecia ed il terzo per dimensione in assoluto dopo l'Artemision di Efeso ed il tempio di Apollo a Didime.
Il tempio resistette per diversi secoli ma dopo il crollo degli ultimi tre telamoni del 1401, le sue rovine furono utilizzate, nel XVIII Sec., come materiale da cava per la costruzione della cattedrale e per il molo di ponente di Porto Empedocle .


La pianta

Il tempio di Giove è uno pseudoperiptero ectastilo. Ossia le colonne sono appoggiate per metà (semicolonne) su un muro perimetrale spesso alla base 1.68 m e che segue tutto il perimetro dell'edificio. Il Tempio presenta sette semicolonne nel frontone e 14 nei lati lunghi.
Alle semicolonne corrispondono, nella parte interna, delle lesene con capitelli a "becco di civetta". 
Negli intercolumni ed alla base delle semicolonne stesse corre uno zoccolo modanato, questo è un fatto singolare nello stile dorico che rifiutava cornici e modanature nei punti di attacco dello stilobate.
Molto singiolare è la tipologia di costruzione che è stata adottata, diversamente degli altri edifici, che erano stai costruiti per "elementi" ossia rocchi di colonne, per il tempio di Giove si è optato a piccoli conci di tufo legati senza l'ausilio della malta.
Le semicolonne, per esempio, hanno un diametro inferiore di m 4,05, e al posto dei normali tamburi, sono composte di piccoli conci, a stratri alternati, tagliati a cuneo e disposti a ventaglio. I capitelli sono invece composti da due blocchi in cui sono presenti degli intagli che alloggiavano spinotti metallici. Questi servivano a saldare l'echino con i tre enormi lastroni che costituivano l'abaco.
Le dimensioni totali misurate allo stilobate (piani di posa delle colonne) sono enormi: 113,45 metri x 56,30 metri. Per avere una idea dell'altezza possiamo ricordare Diodoro Siculo che ne tramanda le dimensioni, sempre misurate allo stilobate ed espresse in piedi dorici, erano 340 x 160 e 120 in altezza.
Dai recenti studi è noto che 1 piede equivarrebbe a circa 0.326 m, in l'atezza quindi si arriva a 39 metri ed aggiungendo 6 metri della gradinata di accesso del basamento, l'altezza totale sfiora i 45 metri.
Per quanto riguarda gli accessi l'archeologo Pirro Marconi ne ha individuati 3: due nella parte orientale,negli intercolumni estremi, ed uno, ipotizzato, nella parte centrale del muro meridionale.
Accessi nella parte meridionale li troviano anche in alcuni templi della città come nell'oratorio di Falaride e nel tempio di Esculapio.
Data la sua grandezza, la sua particolare struttura e la quantità di fedeli che affollavano il tempio non è da escludere la presenza di altri accessi nella parte occidentale.


La cortina esterna

Diverse e controverse sono state nei secoli le configurazioni che il tempio dovesse avere. In particolar modo archeologi e storici hanno cercato di capire dove i Telamoni fossero posizionati.
Nonostante la presenza delle statue fosse una peculiarita' dell-edificio, non si hanno infatti traccia nelle testimonianze del passato, da Diodoro a Nevio, sulla descrizione del tempio dei telamoni.
Pirro Marconi, grazie al generale Hardcastle, ed a due proficue campagne di scavo, diede la risposta definitiva alla questione. I telamoni erano posti tra colonna e colonna, a riempire lo spazio tra i due capitelli ed a sorreggere parte dell'immane peso della trabeazione e del timpano.
I Telamoni avevano una doppia funzione: statica ed estetica.
Si comportavano staticamente come puntoni ed esteticamente come statue, forse simboleggianti il popolo sconfitto, i cartaginesi, o i barbari in generale.
I telamoni erano molto simili nella corporatura e nella tecnica scultorea, le uniche differenze si riscontrano nelle teste. Ognuna infatti è diversa dalle altre: tratti somatici differenti, alcune sono barbute, con capelli lunghi altre giovanili senza barba con capelli corti e con ricci.
I telamoni sono un enigma anche per il loro funzionamento statico.
Le statue sono composte da 12 filari di conci sovrapposti, singoli e doppi, alternati, i doppi presentano ancora le tipiche incisioni ad U, utili per il sollevamento e la posa in opera.
Ma contrariamente a quanto si possa pensare, i telamoni non erano legati al muro su cui poggiavano, la superficie di contatto è liscia, solo le braccia piegate e parte della testa si inseriscono nella muratura retrostante, il resto semplicemente si appoggia, con poche grappe metalliche, al muro. Si sconosce tuttora il perchè sia stata scelta questa soluzione.
Una particolarità: dal punto di vista costruttivo è che per la prima volta sono state utilizzate travi metalliche di dimensioni 12.7 x 30.5 x 490 cm. Queste sono inserite nell'intradosso del architrave che corre tra i due capitelli, proprio sopra le braccia ricurve dei telamoni. Di seguito le ipotesi ricostruttive della trave.

Ricostruzione trave metallo tempio di Giove
Ricostruzione delle travi in metallo (tratto da Hamilton), a sinistra le barre in ferro sono inchiodate su un'anima in legno, a destra invece, le tre barre sono unite con dei rivetti.

La Cella

Per quanto riguarda la cella è di tipo canonico, anche se assai semplificato. Inserite nei muri sono presenti due file di 12 pilastri (di cui i quattro esterni più spessi), collegati da un sottile muro di cortina spesso appena 1,28 m.
La cella è suddivisa in pronano, naos ed opistodomo, con l'ausilio di due muri di spessore diverso. Mancano invece i pilastri centrali tra le ante.
Questo tipo di cella a pareti con nicchie e sporgenze sarà ripresa e ampiamente utilizzata dall'architettura romana, gli agrigentini, al contrario preferivano spazi con superfici lisce possibilmente prive di colonne interne.
Una particolarità dei pilastri è che anche questi erano sormantati da capitelli a "becco di Civetta", in situ è presente un'esempio, e non tutti erano pieni all'interno.
Nella parte orientale del naos, 2 pilastri si presentano cavi all'interno, e sono state ritrovate anche tracce di malta idraulica. Questo tipo di malta era utilizzata per coprire le vasche per renderle impermeabili.
Forse nelle cavità erano presenti anche delle scale in legno che portavano al tetto.
Curiosità: lo spazio tra il muro esterno e il muro della cella interna, che misura 12,850 m, e' la più grande luce mai coperta da una struttura lignea del periodo greco.

La copertura

Si hanno per il tetto pochissimi elementi per poterne ipotizzare una veritiera configurazione.
E' opinione diffusa che il tempio fosse ipetrale (ossia con la cella scoperta). Questi tipo di tempio era comune per il culto di Giove Olimpico. Gli elementi architettonici che appartenevano al tetto e che si sono rinvenuti sono dei frammenti del geison obliquo, il che fa presupporre che i timpani erano stati costruiti, e resti delle tegole di copertura.
Infatti Durante gli scavi del 1926 l'archeologo Marconi ha rinvenuto, nella parte meridionale delle rovine, diversi frammenti di tegoloni e dei kaliptera, di cui uno ben conservato e custodito nel museo archeologico di Agrigento.
I Kaliptera erano delle tegole di colmo cioè erano posizionate a cavallo tra due falde di un tetto, nessun frammento delle tegole di copertura è stata individuata all'interno della cella..
Data l'abbondanza dei resti fittili e la loro posizione, è ipotizzabile che sia le ali esterne che l'area del pronao e dell'opistodomo fossero coperte.
Nessuna notizia si ha su come potesse presentarsi l'attacco della cella con i pilastri e la struttura del tetto.
Data la distanza tra i capitelli e le lesenee e la snellezza del muro della cella, ai fini della ricostruzione si è pensato che il tetto, anche se di fattura arcaica, in questa zona fosse costituito in legno.

La Chiesa di San Gregorio nel Tempio della Concordia - Agrigento

Il Tempio della Concordia fu innalzato nel 430 a.C., ed è uno dei templi meglio conservati della Magna Grecia.
Secondo la tradizione nel 596 d.C. il vescovo Gregorio, dopo avere allontanato i "demoni pagani" di Eber e Raps (da cui il nome "San Gregorio delle rape"), adattò il tempio al culto cristiano. Durante i secoli la chiesa subì molti adattamenti e trasformazioni, fino a diventare, presumibilmente dopo la dominazione normanna, una piccola chiesa rurale. Da una stampa di Winckelmann del 1784 abbiamo una idea di come si presentasse la Cappella prima della sua demolizione operata dal Principe di Torremuzza.
La pianta (Fig. 1) è divisa a metà, in quella inferiore è rappresentato il tempio greco così come appariva nel periodo classico, nella metà superiore lo stato di fatto.
La Chiesa si sviluppa tra il porta di accesso orientale, opportunamente murata, e un muro eretto in corrispondenza dell'inizio della seconda arcata ricavata nella cella.
L'esistenza del muro trasversale è testimoniata dai resti dell'originale stuccatura greca.


Tempio della Concordia, interno - Agrigento
Cerchiato in rosso la traccia di stucco greco.
Il primo ordine di arcate venne murato, l'altare venne addossato sul muro orientale, nel vano della porta di accesso del tempio.


Temple de la Concorde à Agrigente, Barbier de Noisy, 1784.
Fig .1 Temple de la Concorde à Agrigente, Barbier de Noisy, 1784.


Temple de la Concorde à Agrigente, Barbier de Noisy, 1784.
Fig.2 SEZIONE Giacomo Barbier de Noisy, 1784.




Vue Genèrale du temple de la Concorde à Agrigente, Villeneuve da uno schizzo di Cassas; 1778
Fig.3 Vue Genèrale du temple de la Concorde à Agrigente, Villeneuve da uno schizzo di Cassas; 1778


Progetto della Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro
(Ufficio tecnico di Finanza di Girgenti)


 Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro 

 Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro
Pianta delle fondazioni


 Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro
Pianta pianterreno

 Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro
Pianta del Primo piano

Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro
Pianta delle Travature

 Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro
Prospetto laterale

 Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro
Prospetto Principale

 Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro
Sezione longitudinale

 Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro
Sezione Trasversale
 Caserma della Guardia di Finanza a Bovo Marina, Montallegro
Pianta e sezioni della Cisterna
Robert Smirke the younger
Sir Robert Smirke the Younger
Smirke nato a Londra il 1 Ottobre del 1780, figlio del pittore Robert Smike, studiò nel 1796 alla Royal Academy vincendo nello stesso anno la medaglia di argento. Fu insignito dalla stessa Accademia della medaglia d'oro per il suo progetto del National Museum.
Nel 1801, come era consueto per gli architetti e letterati del tempo, iniziò con suo fratello Richard il Grand Tour. Passò per diverse città: Bruxelles, Parigi Berlino e Vienna. Visitò anche l'Italia passando per Firenze, Venezia, Padova, Genova Vicenza, nel 1805 fece tappa ad Agrigento, chiamata all'epoca Girgenti, dove ritrasse scorci e panorami della città. I disegni sono custoditi in un museo inglese e fanno parte di una serie di taccuini.