Il tempio della Concordia

Sono stato sempre affascinato da "vecchi" oggetti, perché hanno una storia da raccontare. La storia ci ha conservato, e rocambolescamente restituito, il Tempio della Concordia. Un tempio che in antico non godeva di particolare notorietà, non menzionato da storici greco / romani e costruito tra il 440 e 430 a.C, quindi dopo la battaglia di Himera. Ultimo dei templi dorici della Magna Grecia, sintesi finale della secolare ricerca, metrica ed estetica, della degna dimora di un Dio. 
Forme, linee e masse attentamente calibrate, perfette, che solo l'attento occhio greco poteva pienamente apprezzare. Ma quanto del tempio che oggi ammiriamo, al netto di restauri e ricostruzioni, è squisitamente greco? Il restauro non può essere considerato una scienza esatta e nel tempo ha causato non pochi problemi. Torniamo al tempio, quante tracce della sua storia sono state cancellate, perse o sacrificate sul sacro altare della ormai persa "purezza greca"?
Tempio della concordia

Ho voluto approfondire la mia conoscenza sul monumento e ad ogni apparente "ovvia" risposta si aprivano altre "ovvie" domande e anche se è in itinere, sento oggi il bisogno di fare almeno un punto della situazione. 
Il tempio della Concordia è uno tra i meglio conservati della Magna Grecia, tanto che è possibile determinarne con molta certezza l'originale copertura lignea.
Da quando fu liberato dalla cappella barocca dedicata a San Gregorio, ed ancora prima, le sue strutture  costituite da un tufo "friabile", non coerente e non più protetto dall'intonaco, sotto l'incessante azione degli agenti atmosferici e da fattori antropici, hanno subito una accelerazione nello stato di degrado, tanto essere stato soggetto a continui restauri: di tipo stilistico, conservativo, ricostruttivo, alcuni dei quali irreversibili. Nel tempo le sue superfici sono state trattate con diversi materiali: pietre e gesso, pozzolana mista a calce, applicazioni di resine, alcuni di questi interventi sono risultati particolarmente invasivi e irreversibili come l'uso del cemento. Nel 1903 Giuseppe Patricolo fece restaurare con cemento Portland mista a sabbia, la parte inferiore delle colonne e alcuni capitelli dei lati sud, est ed ovest, nonché parti di trabeazione e cornici dei frontoni, a causa del degrado dell'intonaco che nasconde il cemento sottostante, il restauro, se non sottoposto a riprese, è cromaticamente  stridente con il caldo colore del tufo.

Tempio concordia restauro
Dettaglio dell'epistilio con gli evidenti restauri sul colonnato sud (photo credit Darren&Brad)

 
tempio concordia colonna restauro
Dettaglio dell'intervento del Patricolo  restauro in una colonna del lato meridionale. (photo credit Darren&Brad)

Nel tempo e in più punti sulle sue superfici furono inserite per vari motivi, barre metalliche come tiranti di ottone, tondini di ferro o travi di bronzo, alcuni dei quali, hanno provocato altri degradi. L'ossido non interagisce bene con il tufo, ne altera la composizione. Tra i primi interventi documentati c'è quello del Villareale che, già nel 1836, riporta: 
"Essendo assai urgente mettersi sollecitamente sei spranghe di bronzo per riparare la travatura angolare del Tempio della Concordia che in Girgenti che minaccia rovina(...)"(*)
 e come se non bastasse sembra che la natura si sia accanita contro le sue strutture: un fulmine distrusse l'angolo nord orientale, poi ricostruito tra la fine del 1869 e 1870 dall'archeologo F. Cavallari.

Tempio concordia Agrigento
Temple of Concord at Girgenti acquatinta da Sicily and its islands (1824), del capitano William Henry Smyth



Tempio concordia restauro agrigento
La data del restauro è direttamente riportata sulla parte interna del frontone (foto dal web).

Ma i restauri sono solo gli ultimi dei problemi.
Il tempio è sopravvissuto alle devastazioni del cartaginese Cartalone, al terremoto del 365 d. C. e a decenni di abbandono. Ma più di tutto riuscì ad oltrepassare, indenne, tre secoli (IV/VI) caratterizzati da una serie di leggi e decreti imperiali volti a cancellare la religione dei gentili, dalla follia devastatrice di monaci cristiani, da spoliazioni, da distruzioni più o meno giustificati da motivi religiosi, che annientarono in alcuni casi, e conservarono in altri, altri edifici.
Un periodo controverso da analizzare per vari motivi: le leggi e gli editti imperiali emanati furono disapplicati in alcune regioni dell'impero, fatto causato in parte dalla lunga catena di comando; la distruzione degli edifici greco romani, poneva grandi problemi, essi costituivano il fulcro socio-economico e politico delle città, per esempio sarebbe impensabile che la capitale dell'impero, Roma, fosse, di punto in bianco, spogliata dalle emergenze architettoniche, tra l'altro proprietà dell'imperatore e che avevano con le loro statue e gli ornamenti, un enorme valore economico. Appare inoltre che gli imperatori si muovessero in un quadro legislativo non ben definito e che le decisioni erano contingenti, ossia legati di volta in volta alla risoluzione di un particolare problema.
Tra le pieghe della storia sembra che la direzione scelta fu di rendere impraticabile i culti pagani e le eresie ad appannaggio della religione cristiana avallata dall'imperatore e, nei limiti del possibile, promuovere la  protezione e  la conservazione degli edifici esclusivamente per il loro valore artistico, architettonico ed economico. 
A complicarne la lettura sono anche le cronache del tempo, i pagani e i cristiani tendevano, a secondo dei casi, ad esagerarne o minimizzarne determinati aspetti. Se a questo si aggiungono le  interpretazioni date dagli studiosi sui vari periodi storici, gli scavi che hanno gettato nuova luce sulle vicende dei  templi, il quadro si complica ulteriormente, ma questo non è l'oggetto del post, andrò a delineare per sommi capi, ciò che antecedette il restauro del tempio. Di seguito una breve sintesi, molto indicativa e per nulla esaustiva, delle leggi emanate e degli avvenimenti più importanti che precedettero la costruzione della basilica gregoriana.

Le leggi e gli avvenimenti. 
L''Editto di tolleranza", firmato a Milano nel 313 d. C. da Costantino, per l'impero romano d'Occidente e Licinio, per quello di Oriente, diede la libertà di culto a tutti i cittadini romani. Anche il cristianesimo, dopo secoli di persecuzione, divenne "religio licita", ossia ammessa e riconosciuta dall'impero. Ma di fatto la politica costantiniana fu tesa, in vari modi, ad un indebolimento della religione pagana a vantaggio di quella cristiana.
  • Requisizione delle statue greche in tutti i templi dell'impero per l'abbellimento della nuova capitale, Costantinopoli, e incameramento dei beni dei templi nella fiscalità dell'impero.
  • Esenzione da pagamenti delle tasse da parte delle chiese cristiane.
  • Distruzione di 5 templi:  il tempio di Gerusalemme fu cancellato fino alle fondazioni ed al suo posto venne edificata la basilica del Santo sepolcro. Distruzione, sempre a Gerusalemme, di altri edifici pagani ed erezione di chiese. Un contingente militare, spedito nel Libano, rase al suolo Il tempio di Afrodite ad Afaca,  distruzione parziale del tempio di Asclepio in Aigai in Cilicia. Il tempio di Afrodite ad Eliopoli, in Fenicia, ebbe la stessa fine.
Nel 380 d.C. l'editto di Tessalonica, promulgato da Teodosio, Graziano, e Valentiniano II, sanciva che il cristianesimo, così come era stato formulato nel concilio di Nicea (325 d.C., che è alla base di tutte le religioni cristiane), nonostante fosse professato da una piccola parte della popolazione, l'unica religione di stato. Con i decreti Teodosiani, proclamati tra il 391-392 d.C., si attuò l'editto di Tessalonica, la legislazione anti pagana si fa sempre più stringente: venne vietato l'accesso ai Templi e l'adorazione di statue o manufatti, inasprite le pene per chi si riconvertiva al paganesimo, vietata l'adorazione delle divinità domestiche come i lari, i geni e i penati, chiusi gli accessi ai templi e se ne impone la purificazione, e si inaspriscono le multe per chi violi o non controlli l'applicazione delle nuove disposizioni. 
Affresco di San Nicola
San Nicola nell'atto di distruggere gli idoli pagani.
La conseguenza immediata di questo inasprimento legislativo fu da un lato, la legittimazione, da parte dei fanatici cristiani alla sistematica demolizione dei templi dall'altro il tacito avallo imperiale per gli atti di violenza perpetrati contro i pagani e gli eretici.
  • Nel 391 d.C ad Alessandria di Egitto, il vescovo Teofilo chiese ed ottenne il permesso di trasformare in chiesa in tempio dedicato a Dioniso, scoppiò una violenta rivolta. I pagani si asserragliarono nel Serapeo, a rivolta domata, il Tempio, la biblioteca, le sale di lettura e tanti piccoli santuari furono distrutti.
Dopo la morte di Teodosio nel 395, Arcadio in Oriente e Onorio in Occidente, ne ribadirono il divieto, continuarono ad imporre la distruzione degli edifici templari. 
Nel 399 Arcadio, in Oriente, decreta la distruzione dei templi nelle zone agricole, molto più comuni in questa parte dell'impero, purchè fosse fatta senza provocare tumulti, "Si qua in agris templa sunt, sine turba ac tumultu diruantur".  
  • Il concilio di Cartagine del 401 chiese ed ottenne dall'imperatore la promulgazione di leggi che imponessero la distruzione dei templi pagani e altre che ne impedissero di fatto i culti. Nello stesso anno l'arcivescovo di Costantinopoli Giovanni Crisostomo ordinò la distruzione di una delle sette meraviglie del mondo antico, il Tempio di Artemide ad Efeso ed organizzò una spedizione di monaci ad Antiochia per radere al suolo i templi. 
  • Nel 402 d.C. Il vescovo Porfirio, con l'assenso dell'imperatore, bruciò e distrusse gli otto templi ancora in piedi a Gaza, tra cui il tempio di Marnas, e con i suoi sacri marmi fece pavimentare la  piazza  antistante in modo che fossero "calpestati non solamente dagli uomini e dalle donne, ma anche dai cani e dai porci e da ogni sorta di bestie".
Onorio nel 408 , in Occidente, impose che venissero distrutti indiscriminatamente tutti gli altari pagani e che gli edifici di proprietà dell'imperatore, all'interno o all'esterno della città, venissero destinati a uso pubblico e quelli privati distrutti.
"Aedificia ipsa templorum, quae in civitatibus vel oppidis vel extra oppida sunt, ad usum publicum vindicentur. Arae locis omnibus destruantur omniaque templa in possessionibus nostris ad usus ad commodos transferantur; domini destruere cogantur".
Nella parte occidentale dell'impero, grazie a questo provvedimento, gran parte degli edifici vennero preservati, forse anche inutilizzati o fatti rovinare, ma non distrutti. 
Con la morte di Arcadio nel 416 successe al trono il figlio di 7 anni Teodosio II (a 15 divenne imperatore), si ebbe una recrudescenza sull'accanimento sui templi.
  • Nel 435 Teodosio II ordina che tutti i santuari, templi, ruderi, se ancora integri vengano distrutti e che si apponga il segno della croce (cuncta eorum fana, templa, delubra, si qua etiam nunc restant integra precepto magistratuum destrui, conlocatione venerandae christianae religionis signi expiari praecipimus).
Poco dopo la sua morte, nel 450, il paganesimo era praticamente un ricordo. In Occidente, nel corso del V secolo complici motivi di natura economica, iniziò a cambiare l'atteggiamento verso i templi pagani; inizialmente distrutti, quelli superstiti vennero adibiti ad altri usi.
La furia devastatrice non dilagò con la stessa forza in tutto l'impero, alcuni studiosi ritengono che, nonostante gli episodi di intolleranza e la volontà di "rendere impraticabile" la religione pagana come per esempio vietandone i sacrifici animali e la pratica divinatoria (e che erano alla base della religione greco romana) tacciandola per stregoneria o magia, le distruzioni di templi (per lo più parziali), la transizione alla nuova religione fu più o meno graduale.
In ogni caso non furono rasi al suolo, almeno in Sicilia, molti edifici pagani come il tempio incompiuto di Segesta o l'Athenaion di Siracusa, ad Agrigento gli avvenimenti che colpirono i templi furono più o meno molto tardi: probabilmente gli ultimi tre telamoni del Tempio di Giove, in rovina, caddero nel 1401, un terremoto fece crollare le ultime colonne del tempio di Ercole, parte del colonnato nord del tempio di Giunone crollò nel XVIII secolo. 
Gli edifici vennero usati e riparati per un certo periodo di tempo, alcuni abbandonati, per divenire poi, nel tempo, ruderi e cave di pietra, come il Tempio di Vulcano, il teatro appena scoperto e il tempio di Giove, o peggio prima smontati e poi usati come  discariche come il tempio romano (V sec.), altri rifunzionalizzati: il tempio di Esculapio fu di certo masseria (VI secolo, Trizzino), l'Oratorio di Falaride diventò una cappella per i frati del vicino convento (XI Secolo), il tempio di Athena e di Demetra chiese, la tomba di Terone divenne una abitazione per un pastore.
Il VI-VII secolo, per quanto riguarda la conversione dei Templi pagani in edifici pubblici o luoghi di culto cristiani, segna un cambiamento, divenne più frequente. Finché c'erano le condizioni si preferiva costruire le chiese ex novo. Ma in quel che restava dell'impero romano d'occidente le stesse condizioni mutano, complice un lungo periodo di crisi acuito dalla caduta dell'impero.
E nel VI secolo la cosiddetta guerra gotica, ossia la guerra intrapresa da Giustiniano per la riconquista dei territori italici, lasciò una profonda ferita nell'economia del paese, a cui si aggiunse la pesante fiscalità bizantina, la corruzione degli esattori dell'imperatore, lo spopolamento delle città, le carestie, e date le ristrettezze economiche, in generale, si preferì purificare e rimodellare i vecchi edifici, ormai svuotati dalla loro funzione, del resto i vari decreti emessi dagli imperatori, tra cui quelli teodosiani, ne imponevano la chiusura, li tutelavano per quanto possibile dalla distruzione ma non ne vietava il riutilizzo.
 
San gregorio e Santa Caterina
Santa Costantina e il Vescovo Gregorio
Published through the Courtesy of the Michigan-Princeton-Alexandria Expeditions
to the Monastery of St. Catherine on Mount Sinai

Il Pontefice alla fine del VI secolo fu Papa Gregorio Magno, e come testimoniato da alcuni scambi epistolari, fu il Papa del Vescovo Gregorio. Che parti dell'impero romano occidentale non navigassero "in buone acque" lo suggerisce una lettera indirizzata a Costantina
(*)Epistola XLI a Constantina Augusta.
in cui il papa si lamenta dell'eccessiva fiscalità sul popolo della Sardegna e Corsica, costretti a vendere i propri figli per onorare il pagamento delle tasse o peggio ancora a emigrare nei territori longobardi. In Sicilia, un certo cartulario Stefano, opprimeva il popolo arrivando ad appropriarsi, senza alcun titolo, di case e terre.
A conferma del nuovo corso, Papa Gregorio Magno, in una lettera del 18 luglio 601, raccomandò al vescovo Agostino, fondatore della cattedrale di Canterbury:
"(...) non si devono abbattere i templi pagani... bensì gli idoli che in essi si trovano. Si aspergano i templi con acqua benedetta e si costruiscano in essi degli altari nei quali si depongano delle reliquie, perché se i templi sono stati costruiti bene, conviene sottrarli al culto idolatrico e dedicarli al vero Dio; così le popolazioni, vedendo che i loro templi non sono stati distrutti, liberandosi dall'errore riconosceranno e adoreranno il vero Dio accorrendo in massa nel luoghi in cui erano soliti raccogliersi”. 
Una delle pochissime fonti attualmente a nostra disposizione è il racconto agiografico di Leonzio, abate del monastero di San Saba, sul Vescovo Gregorio. Ma l'agiografia, in quanto tale, non può essere considerata come "storia" nel senso stretto. Negli anni si è tanto dibattuto sulla attendibiltà dello scritto. Alcuni studiosi mettono in discussione il racconto stesso, ipotizzando che in realtà "il bios di Gregorio sia una finzione letteraria che fa convergere nella figura del vescovo Gregorio due personaggi storici vissuti al tempo di papa Gregorio Magno: il corrispondente agrigentino del suo epistolarium e l’autore di un Commentario sull’Ecclesiaste.", si ipotizza anche che la basilica, nata come chiesa cimiteriale, con molta probabiltà sia stata fondata nel V sec., in quanto strettamente legata allo sviluppo della necropoli già presente nel III sec. e che ebbe il suo massimo sviluppo nel V secolo. Date le indagini archeologiche, già alla fine del VI secolo, la necropoli e la viabilità ad essa connessa, risulta essere utilizzata sporadicamente. (Fabiola Ardizzone, Ceramica, marmi e pietre. Note di archeologia tra Sicilia e Creta). Altri al contrario credono attendibile il racconto sia per la conoscenza dei luoghi e che dei personaggi storici. É indubbio però che il tempio sia stato convertito in chiesa. Ritornando alle parole del monaco Leonzio, cosa fece il vescovo Gregorio di ritorno da Roma:
"(...) piantò la sua tenda all'esterno del tempio dell'idolo, che giace sul muro a sud. E lì vegliava incessantemente sul popolo, stabilendo un altare temporaneo e lì erigendo la venerabile e vivificante croce. Ma poi pregò Dio e scacciò i demoni che c'erano e vivevano nell'idolo di Eber e di Raps. E ricostruì magnificamente quel tempio e gli diede il nome dei santi apostoli Pietro e Paolo (...) Dopodiché, dopo un anno, completò la chiesa, la consacrò, eseguì la Santa Comunione e stabilì delle celle idonee, dove lui e i suoi compagni vivevano in modo meditativo."
Le modalità di trasformazione degli edifici era il risultato tra diversi fattori: le condizioni oggettive delle strutture su cui intervenire, la necessità di ricavare spazi utili sia in funzione della tipologia di chiesa che del rito e quindi della liturgia e non meno importante le risorse economiche disponibili. Il rito, in quei secoli, era diverso da quello odierno e come conseguenza gli spazi si adattavano al rito. Non esistevano i banchi, dall'Ordo Romanus I si intuisce che la durata della messa era molto lunga, non c'era una attiva partecipazione dei i fedeli, erano per lo più spettatori ed in certi casi non vedevano per intero alcune parti della messa. Per esempio il momento della transustanziazione, il pane e il vino diventano corpo e sangue di Cristo, "il mistero della fede", mistero lo era davvero, la vista dell'altare con il vescovo che consacrava l'ostia era impedita in vari modi come l'uso di pergole, cibori, di iconostasi o veli o tende che all'occorrenza venivano aperte o chiuse. La messa, oggi, potrebbe essere definita come un rito "nudo".
L'impianto planimetrico veniva adattato ed alcuni elementi della tipica pianta paleocristiana venivano derogati: la posizione dell'abside, che era preferibile "ad orientem", a San Lorenzo Vecchio era ad Ovest, l'abside, semicircolare diventa quadrata nella basilica di Agrigento, la tipica sezione a salienti con la finestratura sulla navata centrale, nella basilica ad Agrigento e a Siracusa,  è bassa e priva di aperture. 
Del resto l'emergere di un periodo di crisi e decadenza  sembra essere riconoscibile anche nella trasformazione del Tempio agrigentino in basilica: i lavori di conversione dovevano essere completati il più velocemente possibile, (secondo il bios di Leonzio fu terminato in un anno), e fu necessario minimizzare le spese, ciò si deduce dalla scelta di materiali scadenti per la costruzione dei muri e dalla posa in opera degli intonaci
(*) Trizzino 1989
, e dalla rifunzionalizzazione degli spazi esistenti, facendo attenzione a manomettere il meno possibile le strutture originarie. 
Negli anni molti storici e archeologi si sono occupati dell'argomento, ed esiste una vasta documentazione al riguardo, mi soffermerò brevemente sugli studiosi che hanno dato un contributo, per così dire, diretto sulle problematiche ricostruttive della Basilica. Tra questi sono da menzionare: Koldewey, Trizzino, Vaes, Anselmo Prado e il Parco della Valle dei Templi. Qui di seguito le ipotesi ricostruttive della chiesa bizantina. 
Koldewey, visitando il tempio alla fine dell'Ottocento, nel capitolo in cui propone la ricostruzione dell'originaria copertura greca, ipotizza così la chiesa gregoriana
(*) Robert Koldewey, Otto Puchstein: "Die griechischen Tempel in Unteritalien und Sicilien", Asher, Berlin 1899
:
"(...) una nicchia è ricavata nella scala, proprio come a sud, ma quest'ultima è ora murata di nuovo; erano le due nicchie accanto all'altare maggiore (...) I fori delle travi inferiori per il tetto della chiesa sono leggermente diversi da quelli antichi, così come i fori della trave del soffitto della chiesa, che tagliano sia il profilo del muro che il profondo canalone sulle pareti della cella. In generale, lo stato originale della chiesa è facilmente riconoscibile: la peristasi era murata, gli ptera laterali formavano le navate laterali (come nella cattedrale di Siracusa), lo pteron ovest il nartece, lo spazio tra le scale era la nicchia dell'altare maggiore come in S. Biagio, il pronao, anch'esso murato, era la sagrestia, accessibile da est da una porta, ci sono tracce visibili nelle colonne."
 Ipotesi L. Trizzino, l'unica che si discosta dalla ricostruzione oggi accettata della Chiesa,  un'ipotesi planimetricamente compatibile con gli elementi e gli spazi di una tipica chiesa bizantina: la chiesa (in verde) è posta nella parte orientale del tempio, l'aula scoperta occupa parte della cella. (immagine tratta da Bayliss)

ricostruzione vaes tempio temple concordia
 Ipotesi J. Vaes: la chiesa si sviluppa nella parte centrale, l'abside è posta nello spazio delle torri scala, la navata è tripartita, non è indicato l'episcopio.

 Ipotesi A. Prado: la chiesa si sviluppa nella parte centrale, l'episcopio è posto nella parte orientale del tempio, nel pronao è indicato lo spazio coperto da archi che si impostavano sulle colonne e sui muri del pronao.

ricostruzione Chiesa san gregorio Agrigento ente parco
Ipotesi "Parco della Valle dei Templi" (apparsa in un opuscolo edito dallo stesso Ente): chiesa a nave tripartita ad occidente, l'episcopio a oriente, tutti muri di chiusura sono impostati  sugli assi delle colonne, tranne due (2ª-5ª colonna fronte est) a filo muro anta.

L'ipotesi ricostruttiva oggi accettata è che il vescovo Gregorio chiuse la peristasi con un muro continuo, con pietre legate a malta e non ammorsate sulle superfici delle colonne (altrimenti l'edificio ne sarebbe uscito "massacrato"), ottenne così uno spazio tripartito, collegò la navata centrale (cella) con le due navate laterali (parte dello pteron nord e sud) aprendo sulle pareti della cella dodici arcate a tutto sesto. Per ampliare la navata centrale, fece abbattere il muro che divideva l’opistodomo con il naos. Chiuse la cella a ovest e ricavò il portale di ingresso. L'abside, a base rettangolare coperta con una volta a botte, fu ricavata nell'area dei corpi scala, qui venne posizionato l'altare. Ai lati dell'abside, sui muri delle torri scala, furono ricavate due nicchie per le statue o le icone dei Santi Pietro e Paolo, a cui la chiesa fu dedicata. L'episcopio occupava tutta la parte orientale, con la porta di accesso ricavata nell'intercolumnio centrale della facciata est. 
Durante i secoli, la basilica fu oggetto di continui restauri, rifacimenti e ricostruzioni e, come si può ben comprendere, tutte queste trasformazioni hanno lasciato segni sulle superfici murarie che in parte sono ancora leggibili, in parte si sono sovrapposte o scomparse. In mancanza di dati certi, è quindi difficile inquadrarne la cronologia, gli elementi analizzati, in mancanza di dati certi, sono proposti avulsi dal tempo.
Analizzando immagini di archivio, foto aeree e descrizioni, ho cercato di (ri)trovare questi segni in funzione delle ricostruzioni fatte e di proporre delle personalissime considerazioni. 

 Gli accessi nella crepidine 

L'accesso principale della chiesa fu posizionato all'altezza dell'intercolumnio centrale del fronte Ovest (PVT / Trizzino). In parte i gradini vennero ricavati direttamente sul corpo della crepidine e in parte fu costruita la scala. Oggi l'intervento non è più visibile per un restauro effettuato dal Principe di Torremuzza nel 1789, nonostante tutto si possono ancora notare i blocchi di tufo utilizzati come riempimento  per il vuoto creato nella crepidine.
dettaglio restauro tempio della concordia
Dettaglio del restauro di fine Ottocento sul lato occidentale del tempio.

È presente un simmetrico accesso nella parte orientale, inoltre in alcuni intercolumni (il primo a nord della facciata est e il secondo sul fronte meridionale) parte della crepidine è stata resecata per accogliere gli ultimi gradini o pianerottoli di scale (Trizzino/PVT).

Gli accessi orientali in una foto d'epoca.

Gli archi a tutto sesto nella Cella.

Come detto, furono ricavati nel muro della cella dodici archi a tutto sesto, sei per lato. E' molto probabile che gli archi risalgano al VI secolo in quanto interventi analoghi in Sicilia si trovano nel Duomo di Siracusa e a Pachino nella chiesa di San Lorenzo Vecchio.

pianta tempio athena siracusa
Pianta dell'Artemision di Siracusa


San Lorenzo Vecchio
San Lorenzo Vecchio, rilievo delle aperture praticate sulla cella.

Per superare il dislivello creato tra le navate furono ricavati all'interno del muro tre gradini. Gli archi servivano da un lato per mettere in comunicazione le navate e per espanderne lo spazio in funzione della liturgia, dall'altro, in mancanza di aperture sul corpo della navata centrale, permettevano alla poca luce che penetrava dalle finestre perimetrali di illuminare la chiesa. 

cella Tempio della concordia
La geometria e la posizione degli archi segue l'isodomia dei conci di tufo.

Ecco come Barbier de Noisy nella seconda metà del 700 descrisse le aperture sulla cella:
"Gli archi, che sono nei muri laterali, sono stati aperti nei tempi posteriori; come può vedersi nella Tavola (...) che dà la veduta del muro laterale, ed in cui vedesi, che non vi è taglio, che vada al centro dell'arco il motivo si è, che per aprirli non hanno fatto altro, che tagliare dalle pietre, poiché rimettendo i corsi di pietre, come se il muro fosse pieno, le pietre si trovano egualmente divise, e le commessure delle pietre della prima fila vengono esattamente a cadere sopra il mezzo delle pietre della seconda fila, e così seguitando sin all'altro"
D'orville nel 700, dal canto suo, notò come le aperture, "quadrate" nei templi greci, qui invece erano "rotonde" e quindi non greche ma erano anche prive di segni, come fori per cardini o altri elementi in ferro, semplici aperture nella cortina muraria.
Fortunatamente il taglio degli archi  ricavati rispettando l'isodomia dei blocchi costituì una valida soluzione statica quando nel 700,  il penultimo pilastro tra le arcate (per crollo o atto vandalico) venne a mancare, ma non causò nessun cedimento del muro. 

tempio concordia agrigento houel
Il pilastro nel lato sud della cella in un disegno di Houel


tempio concordia cella rondelet
Dettaglio degli archi del tempio della Concordia - Rondelet

I Restauri

Anche gli archi nel tempo furono oggetto di restauro, date le pessime condizioni in cui versavano i conci che li costituivano, il "Regio Commissariato degli scavi e musei di Sicilia" 13 ottobre 1883 deliberò, per motivi statici, di riempire con muri gli archi e di liberarne le superfici dalle "brutte incrostazioni di gesso e di calce nelle pareti viste dei pilastri, risarcendole collo stesso sistema che sarà adottato nelle altre località". 
Interno del Tempio - foto del reverendo F. R. P. Sumner, 1925 ca., a sinistra I muri di sostegno a protezione delle arcate. 



LA cella tempio concordia Agrigento
I muri di sostegno nella cella lato sud.

I muri di protezione furono poi sostituti con un puntellamento di centine in legno, che venne successivamente smontato quando,  nel 1934, La Commissione sulle Opere di conservazione dei Templi di Agrigento, presieduta da Biagio Pace, decise: "(...) che le fatiscenti puntellature a centina di legno postevi per un eccesso di precauzione, non adempiono e non hanno mai adempiuto ad alcuna funzione statica e si possono rimuovere senza alcun pericolo per la stabilità dei muri stessi, togliendo all'insigne monumento una apparenza di puntellamento oltremodo sconveniente"
Temple of Concord Agrigento
Le centine in legno sul lato esterno della cella a protezione degli archi (lato meridionale).
Thompson Homer A.   Agrigento, Temple of Concord, 1932-01-07
http://dlibrary.ascsa.edu.gr/ascsa-omeka/

Vista interna tempio concordia agrigento
Le centine in legno in una foto del 1929. (fonte Arachne)

L'archeologo L.Trizzino ne pospone la realizzazione nel periodo barocco, nella sua ipotesi ricostruttiva ritenne che il muro opistodomo / cella, almeno nella fase iniziale, non fosse stato abbattuto in quanto ai lati del muro alcuni conci sono stati asportati per accogliere due porte. 

Chiesa di San gregorio Agrigento
I conci di tufo nell'opistodomo.
Foto: Università di Bologna, Archivio Giuseppe Bovini
Ritenne anche che lo spazio dell'opistodomo fungesse da nartece, parte dello pteron settentrionale e meridionale, nonché lo pteron occidentale costituissero il sagrato e accogliessero le tombe ricavate nel corpo della crepidine.
Si può osservare come la sequenza degli archi si innesti perfettamente con lo spazio della cella (dovuto all'isodomia dei conci), ma si evitò di allungarne la serie oltre il muro, (cosa che avvenne nel tempio di Athena a Siracusa), per ottenere una navata più lunga, non è da escludere che il muro opistodomo / cella fosse di fatto un limite fisico allo sviluppo in lunghezza della navata e che forse con l'aula coesistessero almeno in una fase di costruzione della chiesa.

Tempio della concordia cella pianta
Confronto in scala dell'opistodomo del tempio di Athena e quello della Concordia con relativo muro, in basso è inserito un "settimo arco" (su rilievo Koldewey)

Gli elementi principali di una chiesa bizantina erano tre:
  • il Presbiterio, ossia lo spazio destinato esclusivamente ai sacerdoti
  • Il naos, spazio costituito dalle navate, dove si raccoglievano i fedeli.
  • il quadriportico, ossia uno spazio esterno destinato a chi non poteva entrare in chiesa. La parte direttamente in contatto con il corpo della chiesa era chiamato nartece.
Il nartece fu in uso fino al VII secolo. Era lo spazio destinato principalmente ai catecumeni. Nei primi secoli i catecumeni, per ricevere il battesimo, seguivano un percorso solitamente lungo tre anni, ma il vescovo poteva decidere, in qualsiasi momento, se il catecumeno fosse pronto o meno a ricevere il sacramento. I catecumeni, così come i penitenti, potevano essere ammessi alla prima parte della messa, fino alle letture, ma quando iniziava la liturgia eucaristica e dopo le parole del vescovo  con cui li esortava ad uscire, abbandonavano l'aula per raccogliersi nel nartece. Uno spazio porticato e coperto addossato al fronte della chiesa (esonartece), o ricavato all'interno dell'aula (endonartece), questo spazio era destinato anche ai riti funebri, la salma infatti non poteva entrare nell'aula e veniva deposta all'interno di questo spazio. La pratica del catecumenato, e di conseguenza l'uso del nartece, sparì lentamente, quando si iniziò a battezzare i bambini, come suggerito dall'Ordo Romanus VII, (un accolito, tenendo sul braccio sinistro il bambino, recita il Credo al suo posto).
Le due aperture ai lati del muro di separazione dell'opistodomo, probabilmente sono da mettere in relazione al flusso e alla disposizione dei fedeli nella navata. 

Nella trasformazione del tempio in chiesa, sono stati ricavati sul muro dell'adithon del tempio due porte di accesso alla chiesa.


L'Islamismo, l'Ebraismo ed il Cristianesimo ebbero per lungo tempo un elemento in comune: la separazione, attuata in vari modi, tra uomini e donne. Nelle chiese del periodo paleocristiano vigeva infatti una rigidissima disposizione dei fedeli in funzione della lontananza dall'altare, dalla divisione tra i sessi e dallo status sociale.
Laddove era possibile, si usavano i cosiddetti matronei, gallerie poste sulle navate laterali, a cui si accedeva da scale, spazio riservato esclusivamente alle donne, lo spazio sottostante era per gli uomini. 



basilica paleocristiana
Piccola basilica paleocristiana scoperta nel territorio di Catania. Da notare i due accessi, per i maschi e per le femmine, ai lati della chiesa.

Nelle conversioni ed adattamenti di edifici preesistenti, o in generale in chiese dove non era possibile l'uso dei matronei, si destinava la parte sinistra (rispetto all'altare) ai maschi "sinistra pars virorum", e quella destra alle donne.
Ed ancora dall'Ordo Romanus II "Il diacono sta nella parte meridionale, dove di solito confluiscono gli uomini", Amalario lib. 3. De ecclesiasticis officiis, (820/30 d.C.) cap. 2. 32: "I maschi stanno nella parte meridionale (della navata), le femmine in quella settentrionale" (Masculi stant in Australi Parte, et foemineae in Boreali).
La divisione tra uomini e donne durò a lungo, almeno fino al 1800 e, strano ma vero, ancora agli inizi del novecento ad Agrigento ed in alcuni paesi limitrofi, per una legge non scritta ma tacitamente rispettata, le donne, gli uomini ed i bambini si disponevano in particolari zone della navata.
Ancora oggi la divisione sopravvive nel rito del matrimonio:  sposo a sinistra, sposa a destra.

 La copertura greca

Prima di esaminare le tracce sulla cella, bisogna capire come era costruita l'originale copertura greca. Una prima dettagliata ricostruzione è da attribuire a Koldewey che accompagna la descrizione con un disegno in scala:
 
greek roof temple of concord agrigento
Ricostruzione schematica della struttura lignea della copertura proposta da Koldewey

Altro testo che si occupa della questione è "Woodwork of greek roof" di H. Hodge, anche se il libro è un pò datato, (risale agli anni sessanta), l'autore affronta la tematica delle coperture di diversi (e non solo) templi dorici, affronta il problema della conoscenza e il probabile uso della capriata nel periodo greco e tra le analisi e ricostruzioni proposte c'è un intero capitolo dedicato al Tempio della Concordia.

roof temple of concord agrigento Hodge
Schema ricostruttivo delle travature del Tempio della Concordia proposto da Hodge.

l'ultimo studio effettuato sulla copertura fu quello intrapreso dall'allora Soprintendente P. Meli, studi che furono sintetizzati sia in un opuscolo edito dal Parco della Valle che in un modello in scala dell'intero sistema di travi, travicelli e tegole, oggi custodito nei locali dell'ente parco.

Pietro Meli tempio concordia agrigento
Dettaglio della copertura lignea del tempio della Concordia.
 
Dalle ricostruzioni si evincono 3 aspetti chiave, utili ad escludere gli interventi successivi da quelli greci:
  • Gli incassi per le travi che seguivano gli spioventi del tetto, che per ovvi motivi statici dovevano essere mantenute in posizione, sono  localizzate sui bordi interni dei timpani e sui timpani della cella.
  • Le travi orizzontali che costituivano il soffitto erano appoggiate su dormienti in legno e loro volta  sulle cornici che corrono all'altezza dei muri della cella. Le travi erano tenute in posizione con assi di legno. Nessun taglio sulle cornici.
  • Le travi che coprivano la cella erano semplicemente appoggiate sui muri perimetrali. Nessun taglio sulla parte alta dei muri.
Se ne deduce che ogni altro foro o incisione è da considerarsi posteriore.
Ma di buchi e tagli sulla superficie muraria ne sono presenti moltissimi: fori per tettoie, per impalcature per rilievo o restauro.
Ma ritorniamo al tempio.
Con molta probabilità, per la costruzione della copertura della basilica vennero usate le cosiddette capriate. La capriata fu largamente impiegata, e non solo, per tutto il periodo paleocristiano. Grazie al suo particolare funzionamento statico (non da nessuna spinta orizzontale e rispetto agli archi in pietra, oltre ad essere più economici, coprono facilmente grandi luci), era particolarmente adatta sia per nuove costruzioni che per riadattamenti di edifici preesistenti, come i templi greci, dove le esili mura non potevano di certo assorbire questo tipo di forze. 

La struttura del tetto in un disegno dell'antica basilica costantiniana di San Pietro (IV secolo d.C.).


Da un frame del video di presentazione dell'Ente Parco di Agrigento sono subito evidenti i tagli effettuati sui muri della cella per l'inserimento delle capriate:
tempio concordia agrigento drone
Vista zenitale del Tempio della Concordia, screen capture del video introduttivo del website Ente Parco.

Se si ingrandisce l'immagine e si mette a confronto la parte alta dei muri della cella, gli architravi dei lati lunghi del tempio e i "timpani" della cella stessa, si possono notare almeno quattro distinti tipi di copertura, tre tessuti sulla cella, uno tra gli pteron (lo pteron è spazio tra la cella ed il colonnato esterno) nord e sud. 
pianta tempio concordia agrigento
Vista zenitale della cella, stato di fatto.

dettaglio tempio concordia
 Le superfici esterne del tempio messe a confronto dall'alto: muro cella lato sud, muro cella lato nord, colonnato nord. (il muro del lato sud è stata omesso in quanto gli incassi, coperti da restauro, sono poco leggibili). 

Che gli incassi fossero conosciuti e rilevati è testimoniato anche da alcuni rilievi ottocenteschi:

sezione tempio concordia Agrigento
 Gli incassi dei due sistemi di capriate in un acquarello di P. Morey, Girgenti. Coupe sur la longueur du temple de la concorde, Bibliothèque-médiathèque de Nancy, 1836.

 La copertura A 

 Evidenziati in rosso i tagli su cui poggiavano le capriate, quelli di cui parla Koldewey. Gli  incassi occupano tutta la profondità del muro della cella, ed hanno la dimensione di 40x50 cm (A. Carlino).
copertura tempio concordia agrigento
 In rosso gli incassi delle capriate nella cella lato nord/sud. 

capriate tetto tempio concordia agrigento
Vista zenitale con evidenziata la posizione delle capriate.

capriate tetto tempio concordia Agrigento

 La copertura B 

Altri incassi, più piccoli e poco profondi, sono presenti sul muro della cella e non oltrepassano la linea mediana del muro. Anche se le dimensioni non suggeriscano l'inserimento di una capriata, (gli incassi sembrano essere larghi appena 30 cm), il posizionamento, le distanze ed anche, per il fatto che A. Carlino parli di un seconda copertura ricostruita dopo un vasto incendio che distrusse il tetto precedente, rendono utile un approfondimento.  

capriate tetto tempio concordia Agrigento
 In giallo la seconda serie di incassi.

concordia tempel Agrigento
 Vista zenitale, in giallo la posizione delle capriate. 

temple of Concord roof
 Vista aerea.

Per completare il sistema tetto, sulle capriate si appoggiavano gli arcarecci, i cui fori sono ancora leggibili sulla superficie interna sia del timpano occidentale della cella che in quello orientale. E' anche leggibile l'incasso (ribassato rispetto a quello greco) della trave di colmo: la sequenza dei fori nel timpano occidentale della cella, (più leggibile rispetto a quello orientale) punta alla mezzeria del muro, dove si nota un incavo (il canale descritto da Koldewey), posto all'incirca sulla linea mediana del muro (dormiente?). 

temple of Concord roof
 Vista della Cella, lato ovest

temple of Concord roof truss
Vista della cella con l'indicazione dei fori per arcarecci  (foto da Arachne)
La stessa serie di fori per gli arcarecci del tetto è anche presente sulla superficie occidentale del timpano della cella. Qui sono presenti più serie di fori, da mettere in relazione ai rifacimenti del tetto localizzati esclusivamente nella parte orientale della cella.
dettaglio tempio concordia agrigento
dettaglio del timpano della cella didascalia, in alto l'incasso per la trave di colmo. (photo credit Darren&Brad)


tempio concordia girgenti scale
Dettaglio dei fori sul lato occidentale del timpano della cella, si notino diverse serie sovrapposte per gli alloggiamenti delle travi dei tetti (fonte E. Bennici).

copertura tempio della concordia
Dettaglio del timpano orientale della cella, si può notare come sia assente la serie di fori presente nella parte orientale, l'area probabilmente venne coperta da un tetto tessuto sulla sommità dei timpani della cella.
É interessante inoltre vedere come i punti di scarico delle forze provenienti dal tetto e la posizione delle capriate nei due sistemi (A e B) si relazionino con il muro opistodomo/cella e con il muro delle torri scala/abside.



tempio concordia sezione
Copertura A, la distanza delle capriate è pressocchè regolare, gli arcarecci nell'area delle torri scala, scaricano le forze direttamente sul muro di chiusura delle torri scala.


Sezione tempio concordia Agrigento
Copertura B, la prima capriata è in asse con il muro divisorio opistodomo / cella, la distanza delle capriate almeno sulla cella è regolare, (esclusa area opistodomo che risulterebbe un po più ampia), gli arcarecci nell'area delle torri scala, scaricano le forze direttamente sul muro cella / pronao

 La copertura C 

Altra copertura insite sullo pteron. Sulla parte esterna del muro e sulla parte interna dell'architrave, sono visibili tagli con una distanza irregolare che oscilla tra i 60/75 cm (A. Carlino). Queste distanze sembrano suggerire che le tegole fossero fissate, con o senza tavolato intermedio, immediatamente sopra le travi.

tempio concordia agrigento architrave
Sequenze degli incassi per la copertura degli pteron.

Le travi di copertura si appoggiavano tra l'epikranitis e il bordo interno dell'architrave. Le due  sequenze combaciano perfettamente. Sfortunatamente non ho trovato nessuna foto o documentazione riguardante la configurazione della superficie superiore dell'architrave dei lati lunghi. Di fatto già dal 1883 per evitare ulteriori danni alle strutture, per proteggere l'epistilio dalle infiltrazioni di acqua e per colmare le erosioni esistenti, si decise di coprirne l'intera superficie con della malta. 
Da una foto del 1933, probabilmente sotto la direzione dell'allora soprintendente Valenti, tutte le superfici piane (tranne quelle dei timpani) risultano essere state protette da copertine in plastica fissate con tiranti metallici. 

dettaglio copertura tempio concordia Agrigento
Particolare di una foto del 1933 del Tempio della Concordia 
(©Archivio Emanuele Bennici)
É interessante notare come il ritmo delle travi di copertura degli pteron non segua, su entrambi i lati, quello delle capriate sulla cella. Probabilmente la copertura sugli pteron e la copertura A, non sono dello stesso periodo. 

In rosso i tagli per le capriate (copertura A), in verde gli incassi delle travi sugli pteron laterali.



temple concord agrigento roof
Dettaglio parte superiore del lato settentrionale della cella.



concordia tempel agrigento night
Il fianco della cella con luce radente


 Copertura D 

Nelle ipotesi ricostruttive fatte da L. Trizzino e dal PVT, si è ipotizzato che nella prima fase, fosse stato ricostruito il tetto della cella riutilizzando gli incavi esistenti e praticandone di nuovi.
Da riprese aeree e da vecchie immagini si possono ancora notare questi incavi presenti sui bordi esterni dei timpani (est ed ovest) della cella. 


 Sul muro meridionale del pronao, sopra la cornice, un taglio sulla muratura forse appartenuta ad una capriata (?) che doveva fare parte della copertura posta nell'area del pronao. 

temple concord agrigento roof
Probabile incavo per la capriata sull'area del pronao.

Temple concord Agrigento roof
Probabile incavo per la capriata del pronao.
 
E' presente anche una serie di incassi sui bordi esterni degli architravi del peristilio Nord e Sud. Nella serie prevalgono i vuoti sui pieni ed hanno una ampiezza costante, facendo un confronto con i triglifi,  il passo si aggirerebbe sui 30/35 cm. Volendo avanzare una ipotesi potrebbero essere messe in relazione con le tegole di gronda. Di solito queste tegole aggettano sui bordi del muro, in modo tale che l'acqua piovana non scorri sulla superficie dei muri sottostanti, era ed è regola fissare i primi filari, in vari modi sui bordi, per evitarne lo scivolamento. 
Riepilogando sui sistemi di copertura, sembrano esserci alcune possibilità di costruzione, di seguito alcune ricostruzioni indicative ed ipotetiche:
Chiesa san Gregorio
Copertura sulla cella riutilizzando gli incavi di periodo greco e copertura sugli pteron con le travi disposte tra il muro della cella e il bordo interno dell'architrave (ipotesi L. Trizzino, PVT). 

Il sistema delle capriate (tetto B) è strutturalmente compatibile con la posizione delle travi inclinate che coprivano gli pteron laterali (tetto D), ambedue sono sovrapponibili, se i due interventi dovessero essere coevi il tetto risultante era a doppio spiovente o con falde leggermente sfalsate. 

Tempio concordia ricostruzione
Copertura della cella (Tetto B) e copertura sugli pteron.

Il secondo sistema di capriate (tetto A), come visto, sembra essere incompatibile con la copertura sugli pteron, copriva soltanto la cella.
Tetto Tempio della concordia agrigento
Solo la cella coperta, (tetto a).


L'abside

L'abside a base rettangolare fu ricavata nello spazio delle torri scala, obliterando con un muro la porta di accesso al tempio. Fu impostato un arco tra gli spigoli delle torri, si vedono (oggi coperto da restauro) le imposte ricavate sugli spigoli esterni delle torri scala. 

tempel of concord Agrigento
 Dettaglio delle Torri scala in una foto Alinari. 

internal view temple of concord
 In verde il taglio sullo spigolo e sul muro per l'imposta della volta e dell'arco, su cui era poggiato il muro di chiusura dell'aula.

L'arco a tutto sesto da un lato sorregge il muro di chiusura dell'abside su cui erano appoggiati gli arcarecci del tetto, dall'altro chiudeva la volta a botte che sormontava l'abside (Ipotesi Mercurelli). L'area compresa tra lo spazio delle torri scala, così come lo spazio del pronao, venne coperto da un pavimento, sono visibili i fori per le travi.
Incisione semicircolare sulla superficie interna della cella 

Dato l'esiguo spessore dell'incisione semicircolare sull'architrave, L. Trizzino propone una voltina a botte di periodo barocco del tipo ad incannucciato, che venne smontata dal Principe di Torremuzza nel 1789, non portante e quindi sospesa alle travi del pavimento steso tra le due torri scala. (vedi fig. sopra). 
Del resto la presenza di una volta è confermata da D'Orville quando, visitando il tempio, descrive l'interno come un piccolo spazio coperto da una volta a botte "concamerata conclave parvum". 
A seguito dei lavori di restauro eseguiti da P. Meli nei primi anni 2000, miranti a ripulire e a ripristinare le superfici del tempio, fu scoperta la presenza di una finestra ricavata nella parte alta della porta del pronao, nonchè i resti della decorazione della finestra stessa.

I restauri

Anche questa zona fu soggetta a vari restauri, nel 1836, Villareale eseguì una serie di interventi sui gradini delle scale:  
"Le scale riattate, nella vera forma rimessa una già stata rifatta con gesso; mancanza anche di numero di gradini di altezza diseguale e tutta in gesso; e questa rifatta a similitudine dell'antica e di pietra intagliata." 
La nicchia a dx venne murata per motivi statici già dal Chenchi, e nel 1883, date le pessime condizioni dei conci alla base delle torri, furono inseriti dei tasselli di pietra nei muri, a sostituzione di vecchi blocchi ormai erosi. Altro intervento, come dire minore, fu effettuato su segnalazione dell'ingegnere che si occupò del dimensionamento delle travi in bronzo da inserire sotto gli architravi e dei relativi calcoli strutturali: 
"Durante la mia breve dimora in Girgenti, le guardie di custodia mi fecero rilevare l'inconveniente della sorveglianza del tempio su menzionato, specialmente per la custodia degli ingressi alle due scale, poichè sono avvenuti dei casi in cui si sono trovati nascosti dei ragazzacci che con la loro sola presenza hanno intimorito i visitatori, rendendo in pari tempo le scale ad uso di latrine.
Per evitare che si ripetessero siffatti inconvenienti manifestarono l'idea di chiudere gli ingressi con cancelli di ferro", 
Il Salinas, l'allora direttore del museo Nazionale di Palermo, il 4 giugno del 1883 scrisse:
"Nell'ordine Amministrativo importerebbe:
(...) (36) Costruire dei cancelli all'ingresso delle scalette del tempio della Concordia"
e "cancello di ferro" fu. 

Muro di chiusura della cappella di San Gregorio

Nelle ricostruzioni è indicato un muro che apparteneva alla chiesa di San Gregorio, e rilevato da Giacomo Barbier de Noisy.
L. Trizzino, nella sua ricostruzione della basilica bizantina, anche se posticipa l'apertura degli archi al periodo barocco, indica un muro, di cui restano tracce di stucco greco, di separazione tra l'aula scoperta e chiesa: perché? innanzitutto la sua particolare posizione. Tenendo presente che i muri di chiusura della peristasi e il muro sull'intercolumnio centrale del fronte est erano sicuramente posizionati, per motivi di carattere statico, sugli assi delle colonne, si può notare in pianta come l'asse sia allineato con quelli delle seste colonne (partendo da Est).

tempio concordia pianta muro separazione
Particolare in pianta, del rilievo del Tempio della Concordia (su rilievo Koldewey).

Inoltre in alcune ricostruzioni, viene indicato muro sulle quinte colonne (lato lungo, contando da est)
ricostruzione basilica san gregorio
Dall'alto in basso: ricostruzione Prado, ricostruzione Vaes, ricostruzione PVT.

temple of concord plan
localizzazione del muro sullo pteron meridionale (su disegno di Koldewey).

la sua posizione sembra essere determinata da una serie di fori (soffitto?) che termina a ridosso della quinta colonna.

Tempio concordia restauro carlino
Localizzazione dei fori sulla cella, lato meridionale (foto da A. Carlino).


tempio concordia agrigento
L'ampiezza dei fori è compresa tra gli interassi della 3ª e 5 ª colonna. 

Nella ricostruzione del PVT è indicato un muro in asse con la terza colonna meridionale, con molta probabilità la sua posizione potrebbe essere giustificata, anche, da un'incasso per trave sulla superficie interna del timpano orientale che per forma e dimensione è molto simile ai tagli sulle cornici dei muri della cella.

tempio concordia girgenti trave
Dettaglio del taglio per trave ricavato nella parte interna del timpano, in una foto d'epoca.

  

Lato Occidentale

Fronte della cella, i Restauri.

Questa parte dell'edificio, prima di valutare i segni ancora leggibili sulle superfici murarie, è stata particolarmente interessata da diversi restauri. Nel 1836 il Commissario Valerio Villareale, nell'ambito di interventi di urgenza che interessarono varie parti del monumento, fece ripristinare le colonne dell'opistodomo, che risultavano particolarmente erose. Nel 1872 (con consegna lavori nel maggio dell'anno seguente), Francesco Saverio Cavallari ricostruì con pietra locale le ante e il fregio della cella,

restauro tempio concordia cavallari
Dettaglio del fronte orientale della cella prima dell'intervento di ricostruzione del Cavallari. 
Le colonne, le ante ed il fregio sono particolarmente degradati, i triglifi sono molto erosi.

tra il 1883 e 1886 varie parti dell'opistodomo furono interessati da altri interventi come l'inserimento di tasselli di tufo e nel 1883 fu puntellato per precauzione l'angolo nord occidentale. All'altezza dell'architrave, a causa di un pessimo restauro della colonna d'angolo ed all'inserimento di un blocco di tufo nell'echino del capitello della seconda colonna, apparve una rottura del  concio esterno dell'architrave.
restauro tempio concordia cavallari
La rottura del concio dell'architrave e il blocco di tufo a rinforzo del capitello della seconda colonna prima del restauro del Cavallari. Dettaglio di una foto di G. Sommer, Girgenti Tempio della Concordia, ca. 1880.

La rottura del blocco minacciava la caduta dell'intera porzione angolare, venne così proposta la sostituzione di una metà del capitello della seconda colonna, ormai erosa, e valutati gli interventi da effettuare per bloccare i dissesto.

restauro tempio concordia Cavallari
Proposta avanzata da F. Cavallari, poi scartata dalla commissione in quanto troppo invasiva, per il restauro dell'angolo nord occidentale. A questo intervento si preferì l'inserimento di una trave in bronzo sull'intradosso dell'architrave del primo e secondo intercolumnio (figura da Arachne).

trave tempio concordia
La sezione della trave in bronzo utilizzata per il restauro (figura da Arachne).

restauro tempio concordia restauro meli
La trave è tutt'ora visibile nella parte bassa dell'architrave. (photo credit Darren&Brad)


A causa del degrado dell'architrave sud occidentale del pronao, sempre nello stesso anno, fu proposto un intervento simile, ossia l'inserimento di una trave metallica sull'intradosso dell'architrave.
Per quanto riguarda le colonne tra le ante dell'opistodomo nel 1933-34, si effettuò un'altro intervento da parte di G. Valenti e dell'architetto S. Agati: i vuoti nei fusti vennero rivestiti da un muro intonacato di mattoni pieni, muro che venne ancorato al nucleo delle colonne con tiranti di ottone, le scanalature lasciarono il posto a sfaccettature. Con la stessa tecnica vennero riparati fusti della III e la IV colonna del lato occidentale.
Per quanto riguarda la quarta colonna, il capitello per la precisione, ormai ampiamente lesionato ed eroso, venne in parte  sostituito dal Soprintendente P. Meli.
tempio concordia restauro carlino
A sinistra la metà del secondo capitello sostituito alla fine dell'800 a destra l'intervento di P. MELI

Nell'area tra le due colonne, alziamo lo sguardo sulla superficie interna del timpano: si possono notare ancora i fori delle travi di copertura.

aerial view concordia temple
Vista aerea della parte interna del timpano occidentale.

vista aerea tempio concordia agrigento
Vista del timpano con evidenziati i fori per le travi di copertura.
L'asse dei fori corrisponde alla serie presente sulla superficie occidentale del "timpano" della cella.

Fori per le travi presenti sul timpano della cella (Arachne).

Tralasciamo ora per un attimo questa sequenza di fori. Gli archeologi, giustamente, affermano che l'asportazione dei conci del fregio sui lati lunghi del Tempio fu necessaria per la posa in opera del tetto, e infatti parte della trabeazione nel lato occidentale è ancora al suo posto. Per qualche motivo, però, furono asportati solo i conci all'altezza dei gocciolatoi e quelli interni dell'architrave / fregio. 

vista aerea tempio concordia
Vista zenitale del tempio con l'indicazione di parte del fregio ancora in situ. 

tempel of concord section
Sezione trabeazione sul fianco della peristasi, a destra i conci rimossi (su disegno di Koldewey)

Forse questo intervento potrebbe avere qualcosa a che fare con i fori presenti di cui abbiamo parlato prima? Da immagini su web, d'epoca e video online, sono riuscito a tirare fuori un modello tridimensionale che, anche se indicativo, da degli spunti. 

Fori per travi all'altezza degli pteron Nord / Sud.


tempio concordia agrigento 3d
Rilievo 3d della parte interna della trabeazione
timpano concordia tempio agrigento
In verde la localizzazione degli incassi per le travi di copertura.

tempio concordia agrigento
verde scuro: proiezione della trabeazione ancora in situ.
blu: proiezioni dei muri della cella.
rosso: il probabile andamento della copertura.

Chiaramente non è possibile determinare se i fori siano stati fatti nello stesso periodo, a seguire alcune possibili configurazioni  schematiche della copertura dello pteron occidentale:

3d tempio concordia agrigento
Copertura pteron occidentale.


pronao  tempio concordia agrigento
Copertura con la stessa larghezza della cella, le travi ai bordi esterni sono ipotizzate "appoggiate" sulle cornici.

studio 3d tempio concordia agrigento
Copertura con la stessa larghezza della cella con muro a filo sulle ante 

ricostruzione 3d tempio concordia agrigento
 Copertura sullo pteron occidentale con muro a filo ante e chiusura degli pteron laterali all'altezza delle terze colonne (ipotesi da confrontare con lato est Tempio).

e forse con un rilievo un po più preciso, la copertura potrebbe le tegole potrebbero arrivare a coprire interamente i fregi laterali.

Sepolture nella crepidine. 

Un altro elemento importante nell'ipotesi ricostruttiva di L.Trizzino è la presenza di tombe ricavate nel piano dello stilobate e che per l'archeologo avevano una stretta relazione con l'impianto planimetrico della chiesa. L. Trizzino, così come PVT, data le sepolture alla prima fase di trasformazione del tempio in basilica. La chiesa dei Santi apostoli nacque come chiesa cimiteriale ed all'interno accolse le sepolture. La disposizione delle sepolture è particolare, risulta parziale e circoscritta ad una particolare area. La sequenza inizia dall'asse delle seste colonne (partendo da Est, a ridosso del muro divisorio postulato da L. Trizzino) dei lati lunghi, e sono localizzate negli pteron. 

Dettaglio delle tombe ricavate nello pteron meridionale.
Thompson Homer A.   Agrigento, Temple of Concord, 1932-01-07
http://dlibrary.ascsa.edu.gr/ascsa-omeka/
L. Trizzino si sofferma su due tombe scavate tra le colonne del pronao, in posizione isolata. L'archeologo osserva che di solito nelle chiese bizantine, era vietata la sepoltura all'interno degli edifici, le uniche sepolture ammesse, per motivi religiosi, erano quelle dei santi o martiri.
Ciò ha fatto pensare, che qui fossero sepolti i primi martiri di Agrigento, San Libertino e San Peregrino. Spoglie che furono traslate dalla piccola basilica che sorge ai piedi del Tempio di Giunone, per la consacrazione della nuova chiesa. 
La basilica paleocristiana nei pressi del tempio di Giunone.

Qui infatti, da uno scavo effettuato, si è trovata una fossa ricavata direttamente nella roccia e due tombe di epoca successiva. C'è chi ha visto, nella topografia e nella descrizione del martirio fatta da un agiografo medievale, l'area della basilica come il luogo di sepoltura per le spoglie dei primi due martiri cristiani. Queste particolari tombe venivano posizionate di fronte o (si pensi alla cripta di San Pietro a Roma) sotto l'altare e in alcuni casi i resti potevano essere inglobati nell'altare stesso, in ogni caso esisteva una stretta relazione tra gli elementi. L.Trizzino ipotizza la posizione dell'altare tra l'abside, ricavata nell'intercolumnio centrale del fronte est, e le “sepolture gemelle”.
Leggendo però altri testi, ci si accorge che queste sepolture non siano menzionate ne nella ricostruzione da A. Carlino ne rilevate dall'arch. Scirè (in R.M.C. Bonacasa) o dallo stesso Koldewey.  
Bonacasa chiesa san gregorio
Rilievo delle tombe nel piano della crepidine (da R.M.C. Bonacasa).

Koldewey girgenti
Rilievo delle tombe nel disegno di Koldewey

dal momento che è vietato l'accesso al tempio, e non potendo avere riscontri fotografici, della loro effettiva  esistenza o meno, resta un mistero.

Fine prima parte

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