La Sicilia dal punto di vista geografico, strategico e militare, è sempre stata fulcro e ponte tra diverse culture. Il tempio della Concordia, a modo suo, racconta le invasioni greche, le guerre cartaginesi e romane, l'occupazione araba, la povertà o le guerre di religione. Uno dei punti di vista ricorrenti nella scelta di pittori, fotografi e disegnatori è la parte orientale del tempio, come questo suggestivo dipinto di Emile René Ménard del 1901: un tempio della Concordia all'alba.


Quello che sicuramente salta agli occhi osservando da vicino il frontone orientale, è una lunga incisione sulla parte centrale dell'architrave.



L'incisione è dovuta al restauro del Principe di Torremuzza che per mano dell'architetto Carlo Chienchi alla fine del 700, scanalò l'architrave e inserì una lapide dedicata al Re Ferdinando di Borbone. La lapide fu fissata con perni di bronzo direttamente sulla superficie del tufo e fu necessario praticare un incasso profondo 8 cm, alto 50 e lungo quasi 13 metri. 
Ma per il tempio, e in generale per tutta la Valle dei Templi, almeno nel primo trentennio dell'Ottocento, c'era ben altro a cui pensare.
Sappiamo da diverse fonti che i tesori allora scoperti versavano in pessime condizioni e come si evince dai verbali della commissione della antichità pubblicati da Clemente Marconi, non furono effettuati ne scavi ne restauri.
Che la situazione fosse particolarmente grave lo testimonia Niccolò Palmeri nel suo scritto Memorie sulle antichità Agrigentine dato alla stampa nel 1832. Nel 1827  visitò Girgenti e scrisse così sull'intervento fatto sul tempio della Concordia:
Per compir poi lo sconcio e perpetuarne la memoria (del restauro voluto dal Re), si deformò l'architrave di fronte in tutta la sua lunghezza FERDINANDI IIII REGIS AUGUSTISSIMI PROVIDENTIA RESTITUIT ANNO MDCCLXXXVIII. (E non contento l'autore incalza) Il curare in tal modo le antichità è più turpe del non curarle, dachè il non curarle può ascriversi ad incolpevole mancanza di mezzi: ma il deformarle è tutto effetto dell'ignavia.
Rivolgendosi poi alla commissione di antichità e Belle Arti di Palermo, Palmeri ebbe a dire: 
la sola opera vostra può il disdoro saldare, che viene a tutta Sicilia dall'essere quelle pregevolissime anticaglie mal custodite (...) Voi signori potete sottrarre ad ulteriori guasti i ruderi della maestosa Agrigento
Raffaello Politi, l'allora "Regio Custode delle Antichità Agrigentine", non prese bene le osservazioni, le puntualizzazioni e le critiche sollevate e rispose con uno scritto il cui titolo è più lungo del contenuto Cenni apologetici di Raffaello Politi intorno alle Memorie sulle antichità agrigentine di Nicolò Palmeri e Lettera di Lionardo Vigo. Che il tono fosse acceso, sicuramente dalla parte del Politi, lo si intuisce già dalla citazione iniziale: 
Un cero vedendo che il mattone gettandosi nel fuoco s'induriva e si rendeva eterno, volle anche lui gettarvisi e ne rimase distrutto.
Gozzi Vol. vi. pag 85.
 

Che gli scambi tra i due fossero "tesi" lo si può intuire da una nota di Domenico lo Faso di Pietrasanta. Nel suo libro Le antichità di Sicilia descrive lo scontro quasi in chiave Ariostiana, "alla Rinaldo e Orlando Furioso". Il premio, in questa occasione, non fu l'amore della bella Angelica, ma l'esistenza o meno di un tempio dedicato a Giove Atabirio sulla rupe Atenea:
Gli avanzi di questo tempio furon suggetto di controversia fra i valorosi Signori Palmeri e Vigo, che ne affermano l'esistenza, ed il bravo Signor Politi che la negava.(...) 

La "situazione" diventò molto delicata anche perché da un lato c'era "il Regio Custode" dall'altro "l'ex Procuratore della Camera dei Pari" nonché "Deputato nei due Parlamenti costituzionali siciliani" ... e molto altro, quindi era inevitabile che si "scomodassero" le alte sfere della Commissione di Antichità di Palermo che:  

(...) dispose che gli architetti Cavallari, eseguissero uno scavo sulla Rupe Atenea onde derimere la questione, e quindi nel novembre dell'anno scorso, fatte le più minute diligenze, si è trovato non esistere alcun vestigio di fabbrica sul vertice del colle, ma, alquanto più basso e verso l'est, si rinvenne costruzione di grandi pietre rozzamente squadrate (..)
Anche il tempio della Concordia, suo malgrado, fu un teatro della "discordia" come ad esempio nei primi anni ottanta dell'Ottocento.
La commissione di antichità si riuni' per prendere decisioni sui lavori urgenti da fare, e tra le colonne del tempio si consumò una guerra con sonore sconfitte, almeno per Francesco Cavallari: fu bocciato un suo progetto di restauro perché troppo invasivo e aspramente criticata la "sua" ricostruzione in stile del fronte ovest della cella.
I verbali, tra le righe, raccontano di una guerra di trincea, persa per il Cavallari, ma combattuta con veti incrociati, osservazioni, critiche e tentativi di mediazione.

Ritornando però al Politi e al Palmieri, sconosco cosa successe dopo, ma mi piace pensare che la diatriba si sia risolta in pieno centro storico, nell'osteria di "Mataffu" in Via Caraccioli, dove immagino Raffaello, Niccolò e Lionardo seduti a chiacchierare attorno a un tavolo, all'ombra delle tre grandi botti ellittiche. Quello che è certo però è il destino della lapide: venne divelta nei moti rivoluzionari del 1848 ed il vuoto colmato. 
La zona orientale è difficile da analizzare in quanto proprio in questa area doveva trovarsi il nucleo principale di una chiesa paleocristiana.
L'interesse degli storici e degli archeologi si concentra nel pronao, in quanto proprio in questa area dovevano trovare posto gli elementi più importanti di una chiesa paleocristiana: l'altare, l'abside, il bema, la prothesis, il diaconicon, l'iconostasi, l'episcopio (ossia la residenza e la curia del vescovo) e, come specificato dall'agiografia di San Gregorio dell'abate Leonzio, anche  delle celle per lo stesso vescovo.
Trasformare un edificio pagano in chiesa cristiana richiedeva ottime conoscenze tecniche, una buona preparazione e molta fantasia, in quanto si operava, volendo estremizzare, tra due tipi di intervento: da un lato Santa Maria dei Martiri (il Pantheon a Roma) in cui i simboli pagani vennero sostituiti con quelli cristiani, preservando intatto l'edificio romano o, al contrario, la chiesa del Santo Sepolcro, su cui sorgeva il tempio di Venere fatto costruire da Adriano. Pur di poter mettere alla luce il presunto punto in cui venne piantata la croce, Costantino fece demolire il tempio fino al basamento e fu anche rimossa la terra circostante. Nel mezzo di questi due modus operandi c'era un mondo fatto di riadattamenti, reimpieghi di materiale e veniva attivamente praticato lo "spoglio", ossia il riutilizzo, in vari modi, (anche e per fortuna) di elementi di particolare pregio come, per esempio, colonne o capitelli. 
Per quanto riguarda la conversione di un tempio periptero, per intenderci con cella circondata da colonne perimetrali, l'operazione era relativamente se semplice in quanto entrambi, chiesa e tempio, erano orientati da Est verso Ovest. 
La trasformazione veniva fatta  invertendo la planimetria e questa inversione rispecchia i due modi di vedere complementariamente opposti di due diverse culture su come si interfacciavano con la vita: l'alba "greca" come rinascita e tramonto "cristiano" come risveglio.
Gli elementi principali del tempio greco (Est-Ovest), in successione, erano: altare > gradinata > pronao > cella >  simulacro della divinità, e per una chiesa cristiana (Ovest-Est): sagrato > nartece > navate > altare > abside.
tempio di Efesto
Tempio di Efesto rielaborazione grafica da Vaes


Lo studioso Vaes, dopo aver analizzato e catalogato vari edifici pagani trasformati in chiese, nel suo scritto Nova construere sed amplius vetusta servare, sul riuso degli edifici pagani, indica per i peripteri alcune delle tipologie di intervento. La trasformazione di un periptero in chiesa poteva avvenire in vari modi:

  • Smantellando la cella e chiudendo il colonnato esterno con un muro, in certi casi come materia prima veniva utilizzato il materiale di risulta della stessa cella. Come fu fatto per esempio a Santa Maria dei Greci a Girgenti, Diocesarea in Turchia o nel Tempio di Cerere a Paestum.
    tempio greco concordia
    rielaborazione grafica da una immagine di Vaes
  • Riutilizzando lo spazio della sola cella chiudendone ad est con l'abside. (Tempio di Efesto ad Atene).
ricostruzione concordia agrigento
    rielaborazione grafica da una immagine di Vaes
  • Aprendo sulle pareti della cella porte o archi e chiudere lo spazio a Est in modo da ricavare  l'abside. Tempio della Concordia e in un primo momento anche nel tempio di Athena a Siracusa. Questa soluzione però aveva lo svantaggio di non fare illuminare bene la navata centrale.
      rielaborazione grafica da una immagine di Vaes

  • Per ovviare al problema, a Siracusa fu necessario prolungare in altezza la cella modo da permetterne l'inserimento di finestre.
  • In certi casi si preferì demolire la cella, utilizzare le colonne come elementi di separazione tra la navata centrale e le laterali e costruire un muro perimetrale all'esterno del colonnato. 
    rielaborazione grafica da una immagine di Vaes
Alcuni templi in certi periodi storici, anche se in rovina, rimasero integri, ma a causa di particolari vicende storiche, pochi sono arrivati intatti,o quasi, fino ai nostri giorni. Emblematica è la storia del Partenone: spogliato dalle sculture, riadattato, senza tante manomissioni, prima in chiesa e poi moschea. Fu centrato però da una cannonata veneziana, proprio nel momento in cui i turchi decisero di trasformarla in "Santa Barbara", praticamente in una frazione di secondo la parte centrale del tempio fu polverizzata.

La cannonata veneziana sul Partenone trasformato in moschea.

Il Partenone in una stampa del 1870

Per quanto riguarda il tempio della Concordia, la storia suggerisce fumosamente una serie di fortunati eventi come ad esempio uscì quasi indenne dalle guerre romane e cartaginesi e visse indisturbato, anche sotto la dominazione araba, fuori dalle mura della vecchia Girgenti. Per il greco Ulisse è il fato, per gli agnostici è una pura coincidenza... Ma nel tempio della Concordia, fin dall'inizio sembra che il riutilizzo, l'innovazione e la conservazione trovino l'equilibrio: le misure, le piante e gli spazi di una chiesa bizantina combaciano con quelle (al contrario) di un tempio, il miracolo che oggi possiamo osservare si materializza solo in due templi: la "Concordia" a Girgenti (in cui manca il muro dell'opistodomo e parte dei fregi dei lati lunghi) e in misura minore "l'Efesto", ad Atene (mancano il muro tra cella/pronao, le colonne del pronao, e il colonnato interno della cella).
Ipotizzare oggi una ricostruzione della chiesa paleocristiana dedicata a Pietro e Paolo è impresa assai ardua per tantissimi motivi, come la scarsità di tracce rimaste, la loro cronologia, il rito e i relativi spazi, e non da meno i restauri effettuati. Ma, con gli occhi degli archeologi, si può provare ad immaginare la chiesa basandosi sugli studi e ipotesi fatte... 

Federico Moncada

Un giovane architetto francese, fresco di laurea, come si era soliti fare alla fine dell'Ottocento, scelse l'Italia per il suo "Grand Tour". Questo era un viaggio fondamentale per pittori, scultori, architetti e filosofi. Dopo gli studi universitari, per arricchire il proprio bagaglio culturale, si andava a visitare le città per disegnarne o rilevarne i luoghi e i monumenti. Il trentenne architetto era un certo Antoine-Marie Chenavard, scelse di visitare la Sicilia nel 1817, fu a Messina, Palermo, Siracusa e probabilmente anche Girgenti.

Durante il suo soggiorno, come d'obbligo, andò a misurare e a rilevare con minuzia di particolari gli edifici che vediamo oggi lungo la via sacra e... non solo. L'architetto corredò gli appunti e gli studi con alcuni schizzi disegnati dal vero e alcuni di questi furono utilizzati, molti anni dopo, come base per la stesura di un libro, "Vues d'Italie, de Sicile et d'Istrie",  dato alla stampe nel lontano 1861. L'immagine in questione è una vista disegnata da "Porta di Ponte" verso est. A destra è ritratta la chiesa di San Calogero e a sinistra "l'ex Carcere San Vito". 

Agrigento Girgenti Chenavard San Calogero
immagine tratta da "Vues d'Italie, de Sicile et d'Istrie" 

Per la stampa fu utilizzata la seguente immagine:
Agrigento Girgenti Chenavard San Calogero
Schizzo originale " Vue prise de la porta del ponte à Agrigento" in basso si possono notare anche i nomi degli edifici.

Forse per colpa di qualche buontempone che stazionò a Porta di Ponte, forse la barriera linguistica o forse lo stesso San Calò che volle fare un  miracolo, la chiesa fu dedicata ad un certo "San Carlo". 

Agrigento Girgenti Chenavard San Calogero

Spulciando tra gli schizzi troviamo anche un'insolita vista del tempio di Esculapio, insolita perché disegnata da nord. L'iconografia del tempio ha quasi sempre restituito la masseria che ingloba le strutture greche ritratta da sud, credo per scelte puramente pratiche: l'immagine doveva dare più informazioni possibili sui resti del tempio greco (le semicolonne doriche e il corpo scala), e da qui la scelta del punto di vista. Inoltre, guardando il tempio da sud, si poteva impreziosire lo sfondo con le sagome del tempio di Giunone o quello della Concordia. Di seguito alcune immagini che facilmente si posso trovare sul Web.




Chenavard scelse una prospettiva diversa, diede le spalle alla collina e ai suoi templi e rappresentò la "masseria" di Esculapio così come era, in uso e parzialmente un rudere:

tempio di Esculapio Chenavard
Schizzo del Tempio di Esculapio visto da nord nel 1817(?).

poi una vista del 1817 del tempio della Concordia:
tempio dell concordia chevanard

e una vista interna della cella ripresa dal pronao (da est verso ovest), dello stesso tempio:
interno cella tempio dell concordia chevanard

e uno splendido disegno, (chiaramente opinione personale e assolutamente non obiettiva, in quanto mi piace il soggetto), del tempio della "dia Venira".
tempio giunone chevanard

Uno schizzo su carta del Telamone:
telamone disegno chevanard

A chiusura un elenco con la lista dei luoghi visitati, dei disegni e degli schizzi contenuti nel Volume, da tenere presente che all'interno non tutto il materiale è di Chenavard

Federico Moncada


Ci sono storie in cui più vai a fondo e più ti perdi. Succede, guarda caso, quando la cronologia degli eventi, le date e i personaggi si sovrappongono, si fondono e si sfumano. Certe storie le ho lette, per noia e per passione, su un particolare fumetto. Non avrei mai pensato di ritrovarmele tra le pieghe di vecchi pdf e nuovi epub.

Tempio della Concordia Dylan Dog

La storia, come tutte le altre discipline scientifiche, deve ruotare attorno a un perno, e ha bisogno di una data, che sia a.C o d.C o dopo la fondazione di Roma o delle Olimpiadi poco importa. Eccovi allora la storia millenaria, con un mistero che inizia più o meno trecento anni fa, del cosiddetto Tempio della Concordia, nome che nulla ha a che fare con la Dea romana ma Fazello lo ha battezzato così. Del resto è sempre meglio di uno sterile Tempio A, C o K. 
In una notte (così lo immagino), non dopo il 1720, un fulmine distrusse l'angolo nord orientale del timpano e parte della trabeazione. Sappiamo da fonti di archivio che l'area fu ripristinata, con precisione siciliana, circa 150 anni dopo.
La ricostruzione di questa parte della facciata è un elemento molto importante, un "terminus post quem" (chiedo umilmente perdono ad Alba per avere utilizzato un termine latino) per datare dipinti, disegni o foto che ritraggono il tempio da est.
Sappiamo che Francesco Saverio Cavallari fu sicuramente coinvolto, prima da architetto poi da professore, su importanti interventi di restauro, e due di un certo rilievo: la ricostruzione delle ante e del fregio dell'opistodomo (che è parte occidentale della cella delimitata da due colonne tra i muri) e la ricostruzione dell'angolo del prospetto orientale. Capita anche che leggendo uno scritto non ti fidi e cerchi di attingere, per quello che puoi, direttamente alle fonti. Leggendo ti accorgi però che i fatti si sovrappongono e che non hanno date certe.
Resta da chiedersi se i due interventi siano stati pianificati come appartenenti ad un unico "lotto" o siano due restauri completamente diversi?
Partiamo dalla relazione della commissione del 1934 di cui faceva parte anche il Patricolo. Nel documento si parla, sommariamente, dei principali interventi subiti dal Tempio, in cui vengono indicate alcune date:

Patricolo Tempio Concordia Agrigento

I due interventi in cui fu coinvolto F. S. Cavallari erano particolarmente radicali, si potrebbe pensare che nel 72/73 siano stati fatti in contemporanea.
Una prima data la dà il R. Commissario F. R. Lanza principe di Scalea che, nel verbale redatto il 9 giugno 1883, afferma:
Francesco Saverio Cavallari Tempio Concordia Agrigento
da Studi e Documenti relativi alle antichità agrigentine pubblicati per cura del R. Commissariato degli scavi e Musei di Sicilia 1883-1886 ( pagina 25)

Nello stesso documento, a pagina 34, ossia nella "Relazione del Vice Direttore Saverio Cavallari diretta al R. Commissario dei Musei (...)", lo stesso Cavallari precisa che:

Francesco Saverio Cavallari Tempio Concordia Agrigento

Due restauri simultanei?
Parrebbe di no.
Lucio Trizzino, nel suo libro dedicato al restauro del tempio e ricostruzione della chiesa gregoriana, afferma che ci furono due interventi distinti in cui fu coinvolto Francesco Saverio Cavallari: uno tra la fine del 1869 e il 1870, che interessò l'angolo del fregio nord orientale e il secondo nel 1872/73, ossia il rifacimento dell'area dell'opistodomo.
La risposta definitiva sembra darla lo stesso Cavallari nello scritto: "Sulla Topografia di talune Città greche e dei loro monumenti", stampato a Palermo nel 1879. Anche se le date per qualche motivo non combaciano perfettamente, nella pagina 101 afferma:

Francesco Saverio Cavallari Tempio Concordia Agrigento


restauro angolo Tempio della Concordia
Dettaglio di una foto (N. 333 "Girgenti Tempio della Concordia"), G. Incorpora,
con evidenziata la parte ricostruita del tempio.



La data dell'intervento, probabilmente la consegna dei lavori, fu incisa direttamente sul tufo.


Francesco Saverio Cavallari non fu orgoglioso, non sappiamo se per calcolo o convinzione, degli interventi in cui fu coinvolto:

Francesco Saverio Cavallari Tempio Concordia
Pochi anni dopo, per quanto riguarda il restauro sull'opistodomo, fu scritto "(...) avendo il prof. Cavallari dichiarato che il modo del restauro ivi eseguito non è corrispondente all'antico, e chè detto restauro non è accettabile, sia per la tassellatura, sia per altro, la Commissione unanimamente propone che vi si rimedi nel miglior modo possibile."  (verbale 14 ottobre 1883).
Ma non fu possibile, né tantomeno lo è oggi, rimediare ad un intervento così radicale:

opistodomo Tempio della Concordia Trizzino
Immagine tratta da " Lucio Trizzino, Studi per il restauro", Flaccovio editore, 1984